Gli indigeni curano meglio la terra
di Giosuè Serreli
Ci sono momenti in cui è necessario fermarsi a riflettere e chiedersi “qual è l'impronta che sto lasciando? Mentre leggevo El Pais Semanal una delle mie riviste preferite per praticare lo Spagnolo ho avuto il piacere di scoprire in un articolo di Luis Miguel Ariza, uno studio condotto da Kathryn Baragwanath ricercatrice dell'università della California in San Diego, analizza immagini dal satellite, riferite in particolare, all'evoluzione dello stato di salute della foresta Amazzonica. La dove gli indigeni hanno accesso e gli sono riconosciuti il diritto di occuparsi e di curare la terra, la deforestazione è inferiore di un 66% rispetto al resto gestito dal nostro modello di utilizzo del suolo. Le evidenze sono sorprendenti, emblematica è l'immagine del Parco di Xingù, in Brasile, fu creato nel 1961. Il satellite mostra la sostenibilità e l'insostenibilità quasi ad indicarci in maniera inequivocabile la direzione da prendere. Da un lato un'immensa oasi verde, la dove le popolazioni indigene con l'aiuto della ACT (Amazon Conservation Team) gestiscono, curano e proteggono la foresta, dall'altra un'immensa distesa di terra povera, arida e devastata, vittima della agricoltura intensiva. Gli effetti positivi si vedono anche in altre zone dove gli Indigeni hanno ripreso il controllo, nell'Amazonia Peruviana, la deforestazione si è ridotta della metà in solo 5 anni, in Bolivia, Brasile e Colombia tre volte tanto in poco più di una decade. E' proprio dalla Colombia, dove i territori Indigeni hanno quasi il 90% di copertura forestale che voglio raccontarvi la storia di una popolazione che a me ha emozionato e nella quale mi sono un pò ritrovato, facendo le dovute proporzioni. Vi parlo di Jaba Taniwashskaka, un luogo sacro, e dei Kogi, una popolazione che vive ai piedi della Sierra Nevada de Santa Marta, dove si innalzano le montagne più alte della Colombia di fronte ai Caraibi. Circa 400 anni fa, i loro antenati dovettero abbandonare questo luogo sacro per salvare le loro vite dai colonizzatori Spagnoli, ritirandosi sopra le montagne. Persero le vie dei loro pellegrinaggi e l'accesso al mare. Nel 2010, l'area vicino alla foce del Rio Jerez, era una discarica, ricoperta di plastica, materassi e cartoni putridi che arrivavano dai paesi vicini. Era un pantano putrido dove la vita selvatica aveva smesso di esistere e quello che sfociava in mare era un compendio completo e pericoloso della contaminazione umana. I kogi chiesero aiuto alla Amazon Conservation Team e nel 2013 riuscirono ad acquistare e riappropriarsi di quelle terre che da sempre erano le loro. Ritirarono tonnellate di immondizia dalla foce e dalle spiagge, rivitalizzarono le mangrovie per filtrare le acque e protessero i nidi delle creature selvatiche. Ripresero a fare offerte agli esseri visibili e invisibili del loro territorio come parte della restaurazione. Tornarono i caimani e i capibara. In solo sette anni, il suolo si arrichì, la vegetazione germoglio, le paludi tornarono ad avere un odore dolce, una bellissima laguna si ripopolò di pesci. Nel 2002 ottenni la concessione di un area in prossimità della laguna alla Foce del Coghinas (Valledoria),per la realizzazione di un progetto che prevedeva il recupero e la rinascita sia mia personale che dell'amato Fiume unico vero compagno e Maestro di vita. Apparve tutto molto difficile e complicato visto gli scarsi mezzi (anche economici) a disposizione, lo scetticismo di cui ero circondato e le pressioni emotive da sopportare spesso peggiori delle deffiienze economiche. Ma quando un uomo riesce a sognare di giorno con gli occhi aperti, allora tutto è possibile, la notte si usa per organizzare il lavoro necessario alla realizzazione di quel sogno diurno. Anche io come i Kogi ho trovato alla foce del nostro Fiume, materassi, batterie di macchina, scarti di motori, calcinacci di ogni genere e dimensione. Ho ripulito l'area con la sola forza che l'amore per la propria terra può generare, libera da business plan o tornaconti monetari immediati. Ho piantato Ginepri, iniziato a censire (con documentazione fotografica) tutte le specie animali presenti nella zona umida, preservarne i nidi, recuperare e curare gli uccelli feriti, ho avuto il piacere di collaborare con l'Ente Foreste della Sardegna, con le Università e gli enti di ricerca...un po' come i Kogi. Soprattutto mi sono potuto occupare di Educazione ambientale con i ragazzi delle scuole, provando a trasferire loro un pò di quanto io ho imparato in questo fiume, sperando che ciò possa essergli servito, poiché sono convinto del fatto che l'insegnamento debba orientare l'individuo dentro una società che in parte forma e lo trasforma in un essere utile anche alla propria terra. Dopo vent'anni dicono che la Foce del Coghinas sia migliorata, lo scetticismo si è trasformato in entusiasmo, l'emotività assume spesso sembianze di orgoglio e appartenenza. E' fondamentale cambiare il sistema (extrascolastico) attuale di insegnamento, penso agli ambienti familiari in primis, dei social e di informazione poi, dove spesso si educa un individuo ( secondo il criterio dell'uomo ricco, falso, furbo, opportunista e predatorio nei confronti della terra), restituendolo pieno di sudditanze psicologiche, vergogne, sensi di colpa e rancori, inutile a servire alla vera causa che l'umanità deve seguire da oggi in poi...se vuole sopravvivere, e cioè avere cura, e rispetto della propria terra, cambiando l'unità di misura del benessere che non può più essere quella monetaria. Il nostro Pianeta è una macchina complessa e precisa, una fonte costante di vita, con l'essere umano spesso a fare da agente destabilizzante. Per questo hanno sempre più importanza quei progetti che cercano di equilibrare di nuovo questa bilancia, diminuire l'impronta dell'uomo sugli ambienti naturali e preservare tutta la ricchezza di cui è capace il nostro Pianeta. E' ormai chiaro alla comunità scientifica mondiale, che per poter salvare la Selva Tropicale del Sud America, il polmone verde del pianeta che assorbe ogni anno la CO2 equivalente a 25 anni di emissioni rilasciate dalle auto, l'unica speranza è quella di lasciare la gestione in mano alle popolazioni Indigene. Mi sento più vicino ad un Indios Kogi che non ad un imprenditore turistico, mi piace pensare che la vera ricchezza dei territori anche tra i più piccoli come la nostra Foce si possa generare solo da una attenta, consapevole e rispettosa gestione lasciata ai nativi. Gli indigeni di tutto il mondo questo lo hanno sempre capito... anche quelli che indossano jeans e portano gli occhiali.